La Sicilia e il sogno di divenire Capitale Palermo e Messina nel cinquecento

La Sicilia e il sogno di divenire Capitale

di Salvatore Andrea Galizia

La Sicilia e il sogno di divenire Capitale

Verso la fine del XV° secolo, grosso modo nel periodo attorno la scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo, in Sicilia si accentuò la rivalità tra le città di Palermo e Messina. 

La Sicilia e il sogno di divenire Capitale Messina Messina nel 500

Messina era allora la città più ricca di Sicilia; i suoi abitanti e quelli delle campagne vicine avevano da tempo avviato la coltura del baco da seta al posto delle colture cerealicole lucrando enormi profitti. Messinesi erano i pochi mercanti siciliani che troviamo nelle piazze di tutto il Mediterraneo e messinesi pure i pochi banchieri siciliani che facevano affari nell’isola e non solo.

La ricchezza della città sullo stretto aveva consentito al proprio senato cittadino di strappare al sovrano spagnolo (che allora era anche re di Sicilia) privilegi non indifferenti quale quello di possedere l’unica zecca dell’isola e, qualche decennio dopo, il privilegio di aprire un proprio ateneo universitario, il secondo in ordine cronologico dell’isola, dopo quello inaugurato alla metà del Quattrocento a Catania. 

La Sicilia e il sogno di divenire Capitale Palermo e Messina nel cinquecento

Palermo, al contrario, non disponeva del flusso di liquidità della città sullo stretto e non era dotata nemmeno della tradizione mercantile della sua rivale. Assente pure un ateneo universitario (quello attuale nacque circa 3 secoli dopo). Il vantaggio della felice (l’appellativo di Palermo) era quello di essere sede del viceré il quale amministrava per conto del sovrano di Spagna, legittimo re di Sicilia. Per questo motivo tutta l’alta nobiltà dell’isola voleva vivere in città, a diretto contatto con la corte viceregia, proprio lì dove si ramificava il sistema di alleanze, di favoritismi, di privilegi che reggeva il piccolo regno di Sicilia.

La presenza nella capitale del regno di tutta quanta la grande aristocrazia siciliana fece in breve tempo crescere a dismisura la popolazione cittadina; assieme ai loro signori arrivavano a Palermo le loro folte servitù, torbe di fedelissimi, clientele più o meno cospicue che vivevano dei favori dei loro nobili. Assieme a questi cresceva anche il bisogno di maestranze specializzate in disparate attività, spinte dalle esigenze del sempre più numeroso ceto nobiliare; maestri orafi soprattutto ma anche falegnami, sarti, musicisti, artisti di ogni genere. 

Non sarebbe troppo arduo paragonare la Palermo di allora con la Roma di oggi e Messina con Milano. La prima viveva attorno alle elites istituzionali, viveva delle spese delle corti nobiliari quanto quella viceregia. La seconda al contrario era assai produttiva e viveva delle attività connesse alla produzione della seta, alle attività commerciali e finanziarie. 

Questa differenza produttiva generò in breve non pochi malumori tra i messinesi che invidiavano a Palermo il titolo di capitale del regno e la sede del viceré. Nel corso del Cinquecento le pretese messinesi di ospitare il viceré si fecero talmente pressanti che gli stessi viceré trovarono più opportuno passare qualche mese l’anno nella città dello stretto per poi tornare a Palermo. L’idea di essere il centro direzionale di tutto il regno di Sicilia allettava così tanto i messinesi che in breve arrivarono ad avanzare proposte sempre più insistenti al re di Spagna.  

Una volta i messinesi offrirono una grossa cifra di denaro al sovrano spagnolo con la richiesta di divenire capitale del regno (costringendo i palermitani a fare altrettanto per frustrare le richieste messinesi) mentre in un’altra occasione Messina propose addirittura di dividere il regno di Sicilia in due regni distinti, con Messina capitale di uno dei due. 
Davanti al rifiuto dei sovrani spagnoli la città di Messina adottò una strategia più ardua solidarizzando con l’allora acerrimo nemico degli spagnoli, il re di Francia. 


Spagna e Francia lungo tutto il Cinquecento e il Seicento combatterono svariate guerre per il predominio sul continente e non solo; i messinesi pensarono bene che, se avessero parteggiato con i francesi e questi avessero avuto ragione degli spagnoli, di certo la città dello stretto avrebbe beneficiato dei favori francesi divenendo capitale di un regno di Sicilia con a capo il re di Francia. 


I sovrani Borbone di Francia vedevano ovviamente di buon occhio la nascita di una loro quinta colonna in Sicilia mentre i sovrani spagnoli (di casa Asburgo) paventavano una guerra proprio nel più fedele dei loro territori, la Sicilia. 


La rabbia dei messinesi toccò il culmine nel 1674 quando Messina strinse ufficialmente alleanza coi francesi e allontanò gli ufficiali del viceré. Contemporaneamente un contingente francese sbarcò nell’isola a sostegno della sua alleata e iniziarono i primi scontri tra contingenti spagnoli e francesi. 


La gran parte della nobiltà e delle città siciliane appoggiarono gli spagnoli e truppe locali affluirono contro la rivale filofrancese. Le operazioni belliche andavano avanti assai lentamente; la Spagna non poteva inviare truppe più numerose perché già prostrata dalle innumerevoli guerre nell’Europa continentale (conflitti conclusisi generalmente in modo sfavorevole) mentre la Francia non voleva impegnarsi troppo in Sicilia reputando l’intera campagna troppo rischiosa. 


Messina dovette condurre il conflitto quasi del tutto da sola e diede fondo a tutte le proprie risorse.  


Nel volgere di pochi anni, nel 1678, la città sullo stretto, stremata dall’assedio, dovette capitolare. 


Gli spagnoli entrarono a Messina con l’intento di umiliarla per sempre. Venne distrutta l’università, vanto dei messinesi, mentre la zecca venne spostata altrove. 


I pochi francesi a difesa di Messina riuscirono a scappare appena in tempo lasciando così i messinesi soli al proprio destino. 


Dopo di allora calò il sipario sulla città più potente di Sicilia e del suo sogno di divenire capitale di Sicilia. 

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